La casa del mio amico è di quelle enormi e antiche che t’insegnano a catalano, nella lezione sulla “tipica casa barcellonese”, e non credi esistano finché non ne trovi una. Il mio amico in catalano sa dire solo “de res”, e nelle altre lingue ha un accento strano, che a volte dici sì anche se non hai capito.
Ci vivono in 4, ma in realtà sono 5. C’è la sua ragazza. Gli altri fidanzati vanno e vengono, a volte restano per la notte. La sua ragazza è lontana, ma è sempre lì, nel telefono fisso occupato mezz’ora al giorno, tarifa plana, o nel letto sfatto alle 4 del pomeriggio, intravisto un momento prima che lui chiuda la porta a chiave, che c’è una festa e non si sa mai. O quando, mentre suonano la chitarra in salotto, lui svanisce nel nulla, e il chitarrista mi guarda e chiede dove si sarà cacciato.
Tanto torna sempre. E offre birra calda, che in frigo è finita, o dà mezzo rotolo di Scottex alla mia amica che deve andare in bagno, perché è finita pure la carta. Misura a occhio. Che ne sa, lui, di quanta ne serve alle donne.
Non sempre mi manca, in salotto. Lui è silenzioso, tranquillo, gli altri sono allegri, simpatici. Il chitarrista soprattutto, è una star. Gli ho portato un’amica pazza quanto lui, non per fare la ruffiana, che non ne hanno bisogno, ma per sentirli cantare canzoni improbabili fino all’alba.
E io mi sono sentita bene. Certo che c’erano cose che m’innervosivano, in quel salotto con gli stucchi sul soffitto e il pavimento artistico: un cuscino vuoto, lo sbattere di una porta, una luce che si accendeva e spegneva dove io non posso entrare.
Ma stavo proprio bene. La cosa più strana era che la distanza non mi spaventava.
Posso andare in capo al mondo, ma quando ho una casa la voglio vicino. Lì non è che mi senta a casa, ma c’è la luce giusta per guardare tutti senza guastare l’intimità, e la possibilità di parlare di cose più o meno idiote per chissà quante ore.
Non ci sono abituata. Dipende dall’epoca della tua vita, ovviamente. In quella che ho lasciato in Italia insieme a mezzo guardaroba invernale, questi ragazzi di 3-4 paesi e 2 continenti diversi mi sarebbero sembrati noiosi. Nessun colpo di testa, nessuna crisi esistenziale, nessuna malattia paragonabile a quelle della mia Corte dei Miracoli, come la chiamava un amico rimasto lì.
Adesso invece rappresentano tutto quello che voglio. La pace.
E un bel terrazzo sul mondo affumicato dal barbecue.